San Francesco d'Assisi amava la festività del Natale sopra ogni altra festa perché il Figlio di Dio, Re della Gloria, veniva nel mondo. Veniva nel mondo a portare la Pace e la Presenza del Signore.
Con il Natale il Figlio di Dio si immerge nella nostra umanità e noi ci immergiamo nella sua presenza dolce, affabile e misericordiosa.
Carissimi e carissime Buon Natale!
Dire Francesco a Natale vuol dire Greccio, in ricordo di quando Francesco volle festeggiare il Natale in un castello in Valle Santa alle porte di Rieti, per ricordare come Dio avesse scelto di far nascere suo figlio tra i poveri, non per malasorte ma per scelta, in mezzo alla paglia col bue e con l’asino, con i pastori e le loro spose accorsi dai monti circostanti: non necessariamente gli ultimi della terra, ma i più sinceri sì, i più veri.
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Come scrive il cardinal Gianfranco Ravasi «Celebrare il Natale non vuol dire solo preparare un bel presepe scolpito con i suoi pastori, con i Magi in lunghe vesti e una gioia celeste soffusa su tutta la scena.
Questa festività vuole soprattutto essere l’occasione per cercare la pace nel proprio cuore e con il prossimo, “ascoltare il pianto del Bambino” e in questo ritrovare il pianto di tutti i bambini vittime. Altrimenti il Natale perde significato».
Il Natale non è una favola per bambini.
Guardando al Sacro Convento di Assisi, alla casa di Francesco, un dono enorme che si può sperimentare quotidianamente è quello di vivere circondati da una delle forme d’arte più incredibili che l’umanità sia stata capace di concepire.
Ci si riferisce alle due Basiliche, superiore e inferiore, che oltre a custodire la tomba di san Francesco, ospitano anche una serie infinita di capolavori. Ebbene, la narrazione delle nove “tappe” evangeliche di Gesù bambino, trova uno dei massimi riscontri al mondo proprio in un ciclo di affreschi nel transetto destro della Basilica inferiore: le Storie dell’infanzia di Cristo, a opera della bottega di Giotto.
Nove immagini “altissime” che raccontano una storia incredibile lasciandoci a bocca aperta.
Sotto la tua protezione
cerchiamo rifugio,
santa Madre di Dio:
non disprezzare le suppliche
di noi che siamo nella prova,
ma liberaci da ogni pericolo,
o Vergine gloriosa e benedetta.
Maria Madre di Gesù
dammi il tuo cuore
tanto bello puro immacolato
pieno d’amore e umiltà
così che possa ricevere Gesù…
Le immagini e le parole più intense, emozionanti, spero ascoltate, di questo terribile 2020 sono state quelle del messaggio di un uomo forte e gentile, solo nella notte sotto la pioggia, in una piazza S. Pietro deserta. Quell’invocazione rivolta al mondo da Papa Francesco: “Nessuno si salva da solo”.
Molte sono le cose da fare per dar seguito a quelle parole. A partire dalle comunità, chiamate a rinforzare i propri legami, non per escludere ma per aprirsi al diverso, al mondo, senza lasciare indietro nessuno. Un aiuto può venire dalle nostre tradizioni più radicate perché, per dirla con Mahler, “tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco”. Tra le tradizioni che possono aiutarci nei momenti che stiamo attraversando, un ruolo importante può svolgerlo più che mai il presepe.
Si tratta di una tradizione che è diventata mondiale ma resta molto italiana, le cui origini da tutti viene fatta risalire al presepe voluto e realizzato da San Francesco nel Natale del 1223 a Greccio. Sono moltissime in tutta Italia le iniziative e le associazioni legate al presepe. Ed è anche nato, in molti territori, un saper fare artigianale che dà bellezza, calore ed anima ai presepi.
Nel piccolo, ma con la forza delle energie vere e buone raccolte sotto l’egida del Manifesto di Assisi, Fondazione Symbola, Confartigianato, Coldiretti, in collaborazione con l’Avvenire, a partire da quest’anno, vogliono portare un loro contributo, volto a far capire ancora meglio la straordinaria attualità e forza di questa narrazione gentile. Vogliamo ogni anno aggiungere un nuovo mestiere, una nuova attività, legata alla vita di tutti i giorni, per far capire che stiamo parlando non solo di un passato da ricordare, ma delle radici di un futuro possibile.
Non è un’idea di per sé originale, è già accaduto più volte: penso, ad esempio, alla presenza di figure della Protezione Civile nel presepe del Sacro Convento. Vogliamo però proporre un’iniziativa nazionale, aperta a tutti, rinnovata ogni anno. E quest’anno non potevamo che proporre, simbolicamente, un “mestiere” la cui importanza è oggi più evidente che mai. Per questo invieremo in tutt’Italia delle statuette di infermiera, a rappresentare tutto il mondo della sanità e della cura, in particolare dei più deboli. Nella convinzione che, come dice Papa Francesco che: “Per uscire da questa crisi, dobbiamo recuperare la consapevolezza che come popolo abbiamo un destino comune”. E il presepe ce lo ricorda.
Ermete Realacci – Presidente Fondazione Symbola
“Nessuno si salva da solo”. Mai come ora le parole di Papa Francesco sono uno specchio di questo periodo. Parole che si adattano al mestiere che vogliamo presentare quest’anno: quello dell’infermiera e dell’infermiere. Persone che si adoperano giorno e notte nel salvare i malati, nel sussurrare parole di conforto, mettendo la loro vita al servizio degli altri.